Sabato 26 febbraio, alle 18, all’Antiquarium Arborense, in piazza Corrias, si inaugura la mostra “Le donne, i cavallier, l’arme, gli amori, dall’Odissea all’Orlando Furioso”.
La mostra, a cura dell’Assessorato alla Cultura del Comune di Oristano e della Fondazione Oristano, si articola in memorie archeologiche, letterarie, di pittura e scultura sulla maestria di cavalieri (dal cavaliere fenicio di un piccolo otre in ceramica di Tharros, della collezione Cominacini, ai cavalieri che si scontrano in una giostra nel rilievo del XII secolo del San Lussorio di Fordongianus.
Apertura fino al 26 marzo: dal lunedì al venerdì 9-20, sabato e domenica 9-14 e 15-20.
Note sulla mostra
Il poeta cagliaritano Marcello Serra, negli anni Sessanta del secolo scorso, scrisse per la rivista “Il Convegno”, dedicata alla Sartiglia, un articolo domandandosi se la giostra oristanese non avesse un’origine nuragica. In effetti lo stesso Marcello Serra doveva scrivere nel 1965 il celebre volume su Il popolo dei nuraghi, in cui discettava sulle valenze protostoriche della corsa equestre oristanese e dei suoi rituali.
Nel 1966 il grande archeologo Giovanni Lilliu additava l’importanza di uno sgraziato bronzetto nuragico, proveniente dal Sulcis, che rappresenta un cavalluccio al galoppo, sulla groppa del quale si erge in piedi un cavallerizzo con la testa rivolta al lato sinistro del cavallo, facendo scoccare una freccia dal suo arco diretta ad un bersaglio che non conosciamo. Lilliu immaginava l’acrobatica esibizione dello spericolato cavaliere nuragico, in un santuario, dove la gara di abilità si svolgeva sotto l’egida d’un dio nuragico, come l’Ardia di Sedilo (ma anche di Pozzomaggiore e di Oristano, si svolgeva in onore di San Costantino. Ma a proposito del cavaliere acrobata sul cavallo l’archeologo rimandava alla tradizione di correre nel carnevale a sa pudda (alla gallina) o ad altri animali, sospesi ad una corda tesa tra due pali lungo la pista.
Come non pensare allora alla strabiliante prova di Odisseo che, nelle vesti di un mendico, sfida i pretendenti (Proci) della mano della sua sposa Penelope ad una gara che l’eroe di Itaca aveva inventato. Chinarsi e far scoccare una freccia che passava nell’occhio di immanicatura di dodici asce bipenni disposte in verticali, lungo lo stesso asse:
Odissea, XXI, 419-423:
[Odisseo] posta la freccia sul manico, tese la corda e la cocca,
lì dallo scanno, sedendo, e scoccò la saetta
mirando diritto: non fallì il primo foro
di tutte le scuri e, attraversatele, il dardo gravato di bronzo
uscì fuori.
Dopo la vittoria nella gara all’anello delle asce Odisseo dà il principio al massacro dei Proci che avevano divorato i suoi beni e insidiato la sposa fedele.
La mostra si articola in memorie archeologiche, letterarie, di pittura e scultura sulla maestria di cavalieri (dal cavaliere fenicio di un piccolo otre in ceramica di Tharros, della collezione Cominacini, ai cavalieri che si scontrano in una giostra nel rilievo del XII secolo del San Lussorio di Fordongianus. Perché c’è davvero un’archeologia della Sartiglia che arriva al Medioevo nei Comuni d’Italia ma anche di Sardegna. Oggi grazie alla paleografa Rosanna Lusci conosciamo un atto inedito del 15 giugno 1362, dell’Arxiu Històric de Protocols de Barcelona, nel quale Ramon de Thous, cittadino di Barcellona e Giuliano da Mogoro, sardo della città di Oristano, certificano a Guillem Morey, cittadino di Barcellona, di aver da lui ricevuto gli oggetti in elenco, appartenenti a Timbora di Roccaberti, moglie del giudice d’Arborea Mariano IV. A noi tra i preziosi oggetti in argento interessano i «quatuor elm[o]s abtos et bonos a iunyr et duos bancallos panni lane cum signis Arboree» (quattro elmi per partecipare ad una giostra (equestre?) e due bancali di lana fregiati dalle Armi d’Arborea). Nella Arestano del XIV secolo si correvano giostre tra due cavalieri, come nella disfida tra su Componidori e su Segundu nella corsa alla Stella di Oristano.